giovedì 27 aprile 2017

La musica del corpo

La musica del corpo

Tanto tempo fa, in un piccolo paese di montagna al confine tra Lecco e Como, viveva un anziano signore che possedeva un dono unico e speciale: sapeva ascoltare il corpo delle persone e trasformarne in musica l'anima. Quando si sparse la voce centinaia di persone si accamparono in fila indiana fuori dalla porta di casa sua e, uno alla volta, venivano auscultati. L'anziano signore poggiava l'orecchio sulla schiena del richiedente ed estrapolava i suoni di ciò che riteneva essere l'anima in movimento, dopodiché ne trasc
riveva in fretta e furia le note su lunghissimi papiri ingialliti. Dal tranquillo ascolto passava velocemente alla scrittura di ciò che aveva sentito altrimenti, diceva, se ne sarebbe dimenticato in giro qualche pezzo. Erano ascolti che duravano anche ore ed ore, senza né mangiare o bere, e per questo poteva farne solo uno o due al giorno... ci fu chi lo aspettò per anni prima di tornar senza nulla in mano da dove era venuto, perché il vecchio perì d'improvviso.
Tornando a noi, restando ad aspettare il proprio turno ogni giorno o due ci si avvicinava sempre di più alla casa, spostando tendaggi e sedie, tavolini, amache e materassini... furono costruiti persino bagni e docce per chi, come me, restò in attesa per mesi e mesi. E avvicinandosi, talvolta, si sentiva la musica di un pianoforte. In casi particolari, dopo che l'anziano signore trascriveva la musica, ne suonava le note che trascinavano la folla all'esterno in movimenti unisoni, pareva quasi come il pifferaio magico e noi, fuori, come tanti topolini a seguirne la delicata magia. Passavano i giorni ed io avanzavo di posizione, sempre più vicino alla meta, e ad ogni movimento il timore di scoprire la musicalità della mia anima aumentava esponenzialmente. Arrivò il mio turno e le mie paure si trasformarono in realtà.
Vidi uscire Anna, la ragazza conosciuta ormai sette mesi fa, che senza nemmeno voltarsi a salutarmi corse fuori da quella piccola casetta lasciando spalancata la porta; tra le braccia stringeva una grande pergamena chiusa da un nastro rosso porpora. Indeciso tra l'andare e restare presi coraggio ed entrai. Appena dentro sentii la voce del vecchio che, con tono stanco e scorbutico, mi ordinò di chiudere bene la porta e di avvicinarmi verso l'altra stanza. Entrai in ciò che posso senza troppo indugiare chiamare una grotta, illuminata dalla luce tremolante di molte candele, con pietre e legni sporgenti da ogni dove, carte e pergamene, bottiglie vuote e pile di piatti da una parte, bottiglie piene e cestini di cibo da un'altra. Lui al centro di questa strana stanza ovale, seduto sulla panca di un grosso pianoforte nero, e di fronte uno sgabello sul quale mi intimò di sedermi. Non mi chiede nulla, semplicemente mi girò e sollevò la felpa e la maglietta come fa il dottore, ma invece che appoggiarmi lo stetoscopio e chiedermi di tossire il vecchio vi appoggiò l'orecchio. Dapprima freddo divenne poi caldo, poi quasi bollente. Sentivo il suo orecchio come una ventosa risucchiare... qualcosa... non saprei dire cosa tirò fuori dal mio corpo, se la mia anima o se il dolore, l'insofferenza, la frustrazione, la noia, l'insoddisfazione, i rimorsi o i rimpianti; tanto meno saprei dire quanto tempo ci mise. So però raccontarvi quanto segue: riaprendo gli occhi provai un dolore forte alla schiena, come il dolore di un taglio profondo chiuso con dei punti di sutura, ma fu il solo male che provai; dentro di me la pesantezza accumulata in decenni di tormenti sembrava non esserci più. A terra l'anziano signore dormiva tutto rannicchiato sopra un consunto tappeto, vicino a lui la pergamena con un biglietto "Questa è la tua musica, prenditene cura. Chiudi la porta quando esci". Così andai alla porta e la chiusi piano dietro di me. 
Era buio oramai, avrei potuto fermarmi un'ultima notte nella tenda che mi aveva fatto da casa in questi mesi ma decisi di incamminarmi lontano, le altre persone in attesa dell'anziano signore mi avrebbero sicuramente fatto domande ed io non avevo voglia di parlare con nessuno. Camminai e rimasi solo con i miei pensieri fino ad arrivare a casa di mia madre, due giorni dopo. Mi sentivo bene, fresco, come se le tante paure nate e cresciute in me si fossero trasformate in sicurezze e possibilità, mi sentivo bello, buono, allegro, energico, spontaneo. Come se quel vecchio avesse preso tutto quel che non andava in me e lo avesse messo dentro la grossa pergamena. Incoraggiato da questa convinzione decisi di non far leggere né suonare a nessuno quella mia musica, in questo modo il male passato sarebbe rimasto chiuso li dentro, stretto da un nastro rosso porpora. 
Alcuni lo chiamano risveglio o rinascita, altri illuminazione, altri battesimo... io non gli voglio dare un nome né confinarlo in una religione o un credo, sono convinto che le persone possano trarre beneficio dalla sua semplice generosità, anche senza etichettarlo. Sono altresì convinto che non tutti abbiano provato quel che ho provato io e, allo stesso tempo, che altri abbiano avuto i miei stessi pensieri. Non è forse plausibile allora che le persone in sua attesa sappiano già di questo suo dono e non siano lì per altri motivi se non quello? Non è forse vero che le persone deboli si aggrappano a qualsiasi cosa gli possa sembrare luminosa, illudendosi di poter vivere meglio grazie a ciò che, in fondo, sanno menzogna? Ma tutto questo non è importante, "il mezzo" serve solo a farci passare il tempo più serenamente sino all'inevitabile morte, ciò che ho imparato essere davvero importante è rinchiudere le paure in una pergamena di tanto in tanto... e dimenticarsene, e crescere, e vivere senza temere il mondo. Se vuoi invece ancora pensare all'intero mondo fa pure, ma il mondo è egoista, difficilmente lui farà caso a te.

Fine.

Carlo "Charlie" Capotorto

1 commento:

  1. Che bel racconto...
    Io ho pensato che c'è chi sa trasformare il male in una cosa bella, la musica. E' un'altra interpretazione del tuo scritto...
    Buona giornata

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